STORIE DI PERSONE
Direttamente o indirettamente la nostra Associazione è utile a molte persone e talvolta, a distanza di tempo, ne scaturiscono alcune belle storie che incoraggiano a proseguire (e a superare i momenti di difficoltà).Qui abbiamo raccolto alcune storie di persone, comunque legate al Turismo Solidale.
Dedicato a Cristian che con la sua lettera ci ha a colpito:
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Insomma, un piccolo orfano del periodo buio della dittatura romena che insegna a noi, magari non credenti, come si fa a chiedere aiuto all’Infinito.
Novembre 1989, crolla il Muro di Berlino e l’URSS è in profonda crisi. Nei mesi successivi un piccolo gruppo di parmigiani opera due spedizioni umanitarie nella disastrata Romania del dopo Ceaușescu (unico paese del blocco sovietico con rivoluzione sanguinosa). Autunno 1990 (Primo Anello): giunge a Parma una strana lettera, con indirizzo molto pasticciato. Porta un timbro che recita: “CORRESPONDENCIA MAL ENCAMINADA A PANAMA”. Si capisce che per arrivare a Parma questa lettera è passata da Panama. Il giro di mezzo mondo, perché viene da un paesino della Romania, esattamente dall’orfanotrofio di Gavojdia dove il piccolo gruppo di parmigiani aveva lasciato un biglietto da visita, raccolto da un bambino di 12 anni che molto educatamente scrive con grafia incerta e confusa: <>. Dicembre 1990 (Secondo Anello): il piccolo gruppo di parmigiani, si ingrossa un po’ e si rimette in viaggio; arriva all’orfanotrofio e rintraccia il piccolo Cristian, portando la piccola radiolina e tanti altri giocattoli per tutti ma scoprendo una situazione che li sconvolge. I bambini sono ammassati in sporchi stanzoni; la puzza che emana dalle camere e dai bagni è insopportabile. I bambini sono magri e a piedi nudi. E’ qualcosa che si fa fatica a credere. E’ quando si è visto una cosa così che … il mondo deve cambiare. Dal 1991 (Terzo Anello): anno dopo anno il piccolo gruppo di amici, diventa sempre meno piccolo e smette di dedicare serate alla TV e domeniche poltronate per raccogliere, pulire e aggiustare giocattoli. Perché giocattoli? Perché se lo zio McCartney non avesse regalato a Paul una chitarrina noi non avremmo avuto i Beatles. Perché è da un gioco, se intelligente e istruttivo, che può nascere una passione, un interesse, un futuro mestiere. Perché i giochi sono stati importanti nella nostra vita e lo possono essere per tanti bambini. Per tanti futuri uomini. Per quegli uomini, ora bambini, da cui dipenderà il nostro stesso futuro. Magari per evitare che quei bambini vadano a infoltire le schiere di disgraziati e delinquenti (che vent’anni prima erano bambini di cui nessuno si è occupato, sigh!). È quindi da quel bambino della lettera finita a Panama, che un angelo di postino aveva reindirizzato a Parma, che ha iniziato a svolgersi una catena di tanti anelli, di anno in anno più solida, che ha portato a organizzare tanti TIR di aiuti umanitari; non solo giochi ma anche masserizie varie che in Italia avrebbero ingrassato la discarica ma che noi abbiamo riparato e riciclato, facendo contente alcune migliaia di famiglie. Famiglie che hanno ricevuto pacchi preparati con il profumo dell’affetto di amici distanti e sconosciuti ma legati dalla fraternità umana. Il “fratellaggio tra famiglie” prende il posto del godereccio “gemellaggio tra comuni”. Maggio 2008: sempre grazie a Cristian – primo anello della catena e ora adulto – arriviamo a Brădet dove il “piccolo gruppo di parmigiani (non più piccolo e con molti non parmigiani) ristruttura, risvegliando forze locali, un’orribile scuola che – con ingegno e volontà – è divenuta una delle più belle e dotate della regione Caras-Severin, in cui ora operiamo! Cristian collabora con noi nel turismo solidale, accompagnando i visitatori per la cittadina di Lugoj ma soprattutto facendo conoscere i luoghi meno tradizioni e più legati al nostro lavoro sociale. Conquista tutti per la sua dolcezza.
Per la sua grande testimonianza di coraggio nel lottare contro le avversità della vita! La sua storia è un bell’esempio di coraggio che ci fa riflettere su un ingrediente indispensabile alla vita: la forte determinazione unita alla ricerca della semplicità, intesa come “normalità”. Resistere quando sentiamo che tutto si sta frantumando. Sapersi accontentare del poco quando non si ha nulla. Il tutto unito a una costante gratitudine verso Dio per le gioie ma anche per i dolori. Questo è l’insegnamento che ricaviamo dalla travagliata vita di Costantin, di cui ora – su sua autorizzazione – andiamo a scrivere. Constantin nasce nel 1973 ma la mamma muore quando aveva solo un anno e il padre lo affida, con il fratello maggiore, ai nonni materni da cui gli assistenti sociali – per disposizione di legge (sigh!) – li prelevano per metterli in orfanotrofio a Bârlad nella Judet Vaslui, nell’est della Romania quasi al confine con l’URSS. Siamo in epoca Ceasescu e questi istituti erano dei veri e propri lager con nessun tipo di assistenza degna di questo nome (sanitaria, educazionale, ecc…). E’ un istituto di 1.200 bambini con camere da 96 bimbi/ragazzi e lettini coperti di nylon, dove si dormiva in due (anche per difendersi dal freddo intenso). Non gli viene certo risparmiata la vita dura di tutti i bambini abbandonati in quegli inumani istituti: dai ragazzi più grandi è picchiato, mandato a mendicare e costretto a mangiare gli alimenti scaduti dei poveri negozi dell’epoca. Terminate le classi medie, chiede di andare al conservatorio per il suo speciale talento nel canto (n.d.t.: ha una bellissima voce alla “Celentano”) ma il direttore della scuola lo spedisce al liceo tecnico agricolo. Così funzionava in quegli anni di totale caos. Riesce però a coltivare ugualmente la passione per la musica e il canto con anche un bel successo al Freshmen’s Ball, grazie all’invito dei suoi amici. Canta per varie band, per programmi di danza e musica pop serba, recuperando qualche soldo per la scuola. Nel 1989, sedicenne, insieme ad alcuni amici partecipa alla rivoluzione che depone il dittatore Ceusescu; lui fa la guardia alla metropolitana di Bucarest. Terminata la scuola a 18 anni è “gettato in strada” e si trova totalmente solo. Si unisce quindi a un gruppo di quaranta giovanissimi facendo il “ragazzo randagio” di treno in treno (lì almeno c’era caldo) per poi però riuscire ad organizzare una protesta davanti al Ministero di Bucarest e almeno una proroga della permanenza nel Collegio di Barlad, dove ritorna per quattro anni (meglio che i treni!). Esce e trova casa e lavoro presso una serra; questo gli dà sicurezza e prende sotto la sua protezione una ragazza “randagia come lui”; una terribile notte la difende da una violenza sessuale di un giovane ubriaco. Questa è la vita e i pericoli di questi giovani abbandonati dalla società. Dopo una relazione di due anni con la ragazza, questa rimane incinta e per fortuna le danno una stanza all’orfanotrofio. Ma la ragazza, partorita una bimba, se ne va in Italia e poi in Portogallo lasciando Costantin “ragazzo padre” con la bimba che lui cresce fino all’età di 9 anni, con l’aiuto dei suoi amici orfani. Trovato un lavoro per la Caritas di Timisora, impara a operare per gli altri nei casi di calamità. Trova lavori come facchino al mercato, ove conosce Angela, una ragazza molto timida di Lugoj, di padre tedesco e mamma ungherese, in mano ai trafficanti di essere umani. La ragazza viveva sotto il Ponte Traian di Timisoara con un figlio. Un ambiente terribile, insieme ai ragazzi che inalano la colla (il tristemente famoso Eurolac). Rimasta nuovamente incinta dal suo “protettore”, la nuova nata viene presa dagli assistenti sociali. Costantin si prende carico di Angela e il suo bambino, vivendo con loro praticamente in una stalla. Per fortuna il Comune, attivato dai giornali, gli dà una camera in un vecchio edificio di Lugoj (ogni tanto, negli svincoli della vita, un angelo custode lo aiuta e questo gli dà sicurezza). Gli effetti della vita travagliata non tardano però a manifestarsi con due gravi episodi di perdita di sangue dovuta a una forte bronchite non curata. Da questi fatti sono nati comprensibili attacchi di panico, che continuano anche ora ma lui impara a gestirli, non nascondendoli nemmeno in famiglia (è davvero un bel modo per combatterli). Piano piano, iniziando una vita più normale, prova a recuperare la prima figlia ma le autorità non lo permettono per evidenti impossibilità di mantenimento. Con Angela, nascono altri bambini. E veniamo al presente che ci ha fatto incontrare Costantin e la sua composita famiglia. Vivevano in un piccolo appartamento decisamente insalubre e insufficiente quando, grazie a un suora italiana di Lugoj, gli concediamo in comodato questa nostra casetta: che tengono molto bene. Riescono a vivere dell’orto e… sanno che non li manderemo mai via. Credono in noi e noi in loro. Costantin fa lavori saltuari ma ricava qualche soldo perché abbiamo scoperto la sua grande abilità nel guidare (prudente e attento). Sta imparando a fare la guida turistica per i nostri gruppi di amici. Tutti si innamorano di lui, della sua famiglia e della sua toccante storia di uomo coraggioso. Costantin è cresciuto in un ambiente decisamente duro e avrebbe potuto diventare un disgraziato o delinquente ma non ha deposto le armi continuando a lottare per il sogno di una vita migliore ed è riuscito. Non si è arreso, come purtroppo avviene per la stragrande maggioranza di questi casi di ragazzi orfani. Lui è arrivato ad apprezzare quella “normalità di vita” che molti di noi non sanno di avere e godere. Grazie Costantin, lunga vita a te, alla tua famiglia e alla tua collaborazione con noi nel “Turismo davvero solidale”!
Dedicato a Beniamin Così tante cose abbiamo fatto da allora che quasi non ci ricordavamo di questa “pazzia del 2004”. Ce la ricorda Beniamin, allora un bambino e ora uomo sposato, con questa toccante lettera che ci rende felici del contributo dato alla sua vita. Un contribuo che lui dice essere determinante. Noi non sappiamo se è così ma non importa saperlo. “Si dovrebbe pensare più a far bene che a stare bene; e così si finirebbe anche a star meglio” (A. Manzoni) Ecco la lettera di Beniamin, pervenuta nel 2018: <> Attualmente Beniamin vive in un villaggio multiconfessionale (ma tutti cristiani) di circa 90 persone, ove presta la sua attività di agronomo operativo ricevendone in cambio il sostentamento per la sua giovane famiglia. E’ un posto dove si respira armonia e fratellanza sincera. I nostri gruppi di amici potranno andare a visitare il villaggio e capire come vive tutta quella gente. Potranno acquistarne i prodotti agricoli (ottimo il succo di mele, naturale al 100%).
Fin che c’è vita… c’è speranza La Storia di Paul è una storia che dà speranza perché si fonda sulla speranza. Paul a trent’anni ha deciso di scommettere sul futuro insieme a un caro amico e dimostrare come è possibile invertire anche il vecchio adagio “finché c’è vita, c’è speranza”, perché non sempre le persone riescono a reagire alle situazioni difficili. Ma sicuramente è vero il suo inverso “finché c’è speranza, c’è vita!”, poiché diventa sicuramente difficile vivere senza la speranza. Paul è di Anina, una cittadina della Romania sud occidentale e per quanto sia cresciuto in una famiglia di ceto medio e abbia avuto occasione di studiare, come tutti i ragazzi che vivono e crescono in una zona economicamente depressa ha dovuto affrontare le sue difficoltà, legate soprattutto alle prospettive sul futuro. La regione è una delle zone più belle della Romania dal punto di vista naturalistico ma anche tra le più povere. Anina stessa, ex cittadina mineraria ed ex sede di una centrale elettrica a carbone, ha subito il trauma della chiusura della miniera ed è tuttora oggetto di diaspora. Nella zona non c’è lavoro, i servizi sono pochi, i negozi si contano sulle dita di una mano e lo stato è quasi assente; un luogo per il quale verrebbe da chiedersi che speranze ci sono. Paul però la speranza l’ha trovata, l’ha intravista nella bellezza naturalistica che circonda interamente la cittadina al confine del grande parco nazionale di Semenic Cheile, con il bellissimo lago Buhui e i suoi meravigliosi e lussureggianti boschi di faggi e betulle; la cittadina tra l’altro si trova anche a due passi dal lussureggiante Parco Nazionale Cheile Nerei Beușnița. La speranza l’ha trovata nella prospettiva di offrire un servizio, prima quasi assente, ai turisti che in quelle zone passano in ogni stagione, attratti dalle riscoperte bellezze naturali. La speranza l’ha trovata nella voglia di non lasciare la propria terra come invece molti altri compaesani, decidendo di tirarsi su le maniche, costruire qualcosa lì proprio dove si trovava e provare a cambiare così il destino, suo e magari anche quello di tanti. Paul ha aperto nella sua città un suggestivo alberghetto e lo ha fatto con l’aiuto del suo amico Manu, ex minatore, di poco più grande di lui, costruito con le loro stesse mani, quasi interamente in legno e pietra; una piccola bomboniera che in questo momento può vantare già sei stupende camere doppie, ognuna diversa dall’altra, altre due camere in costruzione, una grande cucina comune attrezzatissima, un cortile riparato perfetto per rilassarsi con aperitivi e grigliate post escursione e una jacuzzi di cui i clienti possono godere in estate e in inverno. I turisti italiani che ha ospitato sono rimasti esterrefatti dai sorprendenti e originalissimi risultati. Quel che colpisce di Paul è la sua grande volontà: invece di scappare in un’altra parte del paese o in altra nazione (essendo la Romania in Europa è relativamente semplice emigrare) lui ha deciso di restare e credere alle sue idee. Sono persone come lui che rendono qualunque territorio recuperabile, che rendono tutto possibile e che fanno capire che effettivamente “fin che c’è speranza … c’è vita”! Nelle cose che si fanno bisogna crederci, nel futuro bisogna crederci e Paul ha dimostrato con le sue azioni che è possibile farlo!